martedì 5 giugno 2012

In memoria del popolo di Piazza Tien An Men

Nel 1989, pochi mesi prima della caduta del muro di Berlino e di molti regimi comunisti, il mondo assisteva incredulo al maggio cinese.
Un maggio di rosse bandiere sventolate nelle piazze, un maggio di passione politica, un maggio in cui un popolo ha come non mai gridato ai potenti ed al mondo la sua voglia di democrazia. Ma la libertà che in molti avevano assaporato a maggio non era altro che il preludio alla repressione di giugno.
 In una notte i manifestanti morirono a migliaia e con loro morì il sogno cinese. La repressione era rimasta l’unica arma del governo per mantenere l’ordine pubblico e per mantenere in vita un regime che rischiava il collasso. Ma perché questo movimento faceva così paura al regime? Quali erano le sue rivendicazioni, quali le richieste?



Tutto era iniziato il 15 Aprile con la morte di Hu Yaobang, il segretario del Partito Comunista Cinese, che dopo aver appoggiato le rivolte studentesche del 1987 si trovò in minoranza nel partito e fu costretto a dare le dimissioni.
La tensione di quei giorni e di quelli avvenire, che portò al tragico epilogo di oltre un mese più tardi, era una tensione irradiata sulla Cina dall’alto, dalle lotte intestine al Partito Comunista Cinese per la Successione a Deng Xiaoping. Esistevano infatti due schieramenti contrapposti, due correnti interne al partito che si apprestavano a fronteggiarsi per raggiungere il potere assoluto.
Da una parte c’erano i sostenitori di Hu Yaobang e della sua linea politica, la linea liberal/riformista; egli passerà alla storia come il segretario del nuovo corso del Partito Comunista in Cina, grazie alla svolta del 1984 quando decise di abbandonare il modello di comunismo sovietico per avviare il paese verso un nuovo modello di “comunismo liberale” che potesse garantire la modernizzazione del paese. A rappresentare questa corrente era l’attuale segretario del partito, Zhao Ziyang.
Dall’altra parte era schierata la vecchia guardia conservatrice, l’ala più ortodossa del partito, appoggiata dall’ala intransigente dei militari e guidata dal primo ministro cinese Li Peng.
Alla notizia della morte di Hu Yaobang, il popolo si era riunito spontaneamente in piazza per esprimere il suo affetto all’amatissimo leader, e la manifestazione di solidarietà si prolungò per i giorni successivi, ma già da subito ai vertici del partito la paura che la manifestazione si potesse tramutare in protesta manovrata fece sì che la TV di stato censurasse quanto stava accadendo in piazza.

La folla era composta per lo più di studenti. Per averli appoggiati due anni prima, Hu Yaobang era stato costretto alle dimissioni, e questo lo rese il loro idolo; egli aveva inoltre preso più volte le difese della classe intellettuale. Questa era messa ai margini della società dal regime comunista che sfruttava letteralmente gli intellettuali quando ne aveva bisogno e poi si prendeva ben poco a cuore le loro richieste; le menti colte potevano divenire scomode, difatti erano tenute sotto stretta sorveglianza dai falchi di regime.
In questo momento politicamente cruciale, la piazza chiedeva al governo le riforme di cui il paese non poteva più fare a meno. Le richieste erano semplici: più democrazia, meno corruzione. Queste erano le richieste principali, a cui si affiancavano richieste di lotta alla disoccupazione ed all’inflazione.
Ad una settimana dalla sua morte, il 22 aprile si tennero i funerali di Hu Yaobang, e la cerimonia vide una straordinaria partecipazione popolare. Dopo la cerimonia era stato imposto lo sgombero della piazza ma alcune migliaia di studenti decisero di non andarsene, e la polizia non se la sentì di sgomberare la piazza con la forza. Quei ragazzi avevano ufficialmente iniziato l’occupazione di Piazza Tien An Men, che si sarebbe prolungata ben oltre ogni aspettativa.

I giorni a seguire videro un susseguirsi di manifestazioni e cortei, con gli studenti che inneggiavano sia al partito comunista che alla democrazia, e si scagliavano contro corruzione e clientelismo. L’opinione pubblica era da troppo tempo disgustata dai privilegi di cui godeva la nomenklatura, e dal trattamento speciale riservato a parenti ed amici dei potenti del partito. La protesta da studentesca diventava via via una protesta popolare di massa.
Il 4 maggio tutta la Cina si ferma per una giornata di festa nazionale. Si celebra il settantesimo anniversario della nascita del movimento studentesco di sinistra nazionalista. La retorica di regime ha sempre esaltato questa ricorrenza e tessuto le lodi dello “spirito del 4 maggio”. Ma ora che lo spirito è più che mai vivo e forte, il regime cerca di soffocarlo. Le richieste di diritti civili e di libertà sono scomode, soprattutto quando le televisioni di tutto il mondo ti puntano addosso le telecamere. Nell’aria si fiutavano disordini imminenti, ma alla fine la giornata si risolse senza scontri.
Dopo la prova del 4 maggio ce ne sarebbe stata per il regime una molto più delicata: la visita in Cina di Gorbaciov, prevista per metà maggio. In quel contesto eventuali disordini sarebbero stati intollerabili. Qui i due schieramenti iniziarono il loro braccio di ferro. La corrente liberale era pronta al dialogo con il movimento studentesco, e Zhao dichiarò alla stampa: “gli studenti sono patrioti, vogliono solo denunciare i nostri errori”. La corrente conservatrice prendeva invece in considerazione l’uso di metodi drastici per ripristinare la legalità.
Gli studenti vorrebbero porre il problema delle riforme durante la visita di Gorbaciov, sfruttando la conseguente risonanza internazionale. Tuttavia, il disturbare un incontro diplomatico di questa portata, obbligherebbe il movimento a difendersi dall’accusa di aver danneggiato l’immagine della Cina a livello internazionale. Un bel dilemma per questi studenti, in cui convivono ideali socialisti, liberali e patriottici.
Il 13 maggio segna un ulteriore inasprimento della protesta, con alcuni studenti che iniziavano lo sciopero della fame per ottenere un incontro con il segretario generale del partito. Lo sciopero della fame, a cui aderirono centinaia di ragazzi nei giorni a seguire, commosse tutto il popolo cinese ed il mondo intero. Non bisogna infatti dimenticare che i Cinesi pativano la fame fino a pochi anni prima, ed in parte la pativano ancora.
Il 15 maggio si sarebbe dovuta tenere in Piazza Tien An Men la cerimonia di benvenuto a Gorbaciov, primo leader Sovietico in visita ufficiale in Cina degli ultimi 30 anni, ma la piazza non venne sgomberata e la cerimonia fu spostata all’aeroporto militare. Anche in questa occasione i toni della protesta restarono civili e pacifici.

Intanto gli studenti in sciopero della fame erano arrivati ad essere circa 3000, e le ambulanze iniziavano il loro tour ininterrotto per portare all’ospedale i più gravi.
Il 18 maggio Zhao fece visita agli studenti in ospedale ed il giorno dopo andò accompagnato dal primo ministro Li Peng a visitare gli autobus occupati dagli scioperanti al centro della piazza, promettendo che una volta interrotto lo sciopero vi sarebbe stato un negoziato. Questo è stato per Zhao il tentativo estremo di dialogo con gli studenti, con quel movimento che avrebbe dovuto aiutare la causa della sua corrente e che invece riuscirà solo ad affossarla. Quella è per Zhao l’ultima apparizione pubblica. Pochi minuti dopo il segretario del Partito Comunista Cinese viene arrestato e messo agli arresti domiciliari. L’accusatore è il primo ministro Li Peng, con cui aveva trascorso buona parte della giornata. Le accuse sono molteplici, dai legami con il movimento ribelle al favoreggiamento della corruzione quand’era primo ministro, fino alla diffusione di segreti di partito e di stato nel suo colloquio con Gorbaciov. Con Zhao vengono messi sotto accusa i suoi fedelissimi, che formano la cosiddetta “banda dei sette”.
La sera stessa una delegazione di studenti venne ammessa ad un colloquio con il primo ministro Li Peng ed altri quadri del partito. Non si raggiunse alcun tipo di compromesso, i leaders del movimento studentesco se ne andarono a mani vuote ed il governo non accettò alcun tipo di richiesta. Senza Zhao gli studenti sono molto più soli, e la resa dei conti si avvicina. Si cominciano a temere le liste nere tra i leaders della manifestazione.
La più grande preoccupazione del partito era ora l’ingigantirsi del movimento attraverso la fusione del movimento studentesco con la protesta degli operai. Le paure erano fondate. Nacque in quei giorni un forte sodalizio di piazza tra studenti ed operai. Il colpo di mano di Li Peng fece trovare agli studenti nuovi alleati. Anche la stampa iniziò a fraternizzare con il movimento ed a chiedere più libertà d’informazione. A questa battaglia si unirono tutti i giornalisti stranieri che lavoravano come inviati in Cina. In questi giorni di caos in tutto il mondo esponenti dei partiti comunisti e capi di governo esprimono la loro sincera solidarietà agli studenti
Il 20 maggio, il giorno dopo l’arresto di Zhao veniva introdotta la legge marziale, che non verrà in realtà applicata; intanto l’agenzia di notizie ufficiale è apertamente dalla parte di Zhao e degli studenti. Sempre più lavoratori si univano intanto agli studenti. Il 24 maggio si univa alla protesta anche un sindacato autonomo, nato dalla scissione dalla federazione nazionale ed il 26 maggio anche intellettuali artisti e scrittori decidevano di formare un loro sindacato autonomo in appoggio agli studenti.

L’ultimo gesto clamoroso della protesta fu la costruzione, da parte degli studenti dell’accademia nazionale di belle arti, di una provocatoria statua della libertà dell’altezza di nove metri, e posta di fronte al ritratto di Mao. Nonostante gli studenti si fossero affrettati a battezzarla non come la statua della libertà, bensì come la “statua della dea democrazia”, il governo condannò il gesto come un insulto alla dignità nazionale cinese.
La protesta sembra però avviarsi al termine. Il trenta maggio gli studenti torneranno nelle aule, così han deciso i loro leaders. Il governo ha promesso che nulla verrà fatto loro. Per loro pagheranno i capi della corrente che li ha appoggiati. Il pomeriggio del 30 maggio una tempesta di sabbia ed un forte temporale si abbattono sugli ultimi studenti rimasti in piazza; la solidarietà popolare non ha limiti. Arrivarono ancora una volta fiumi di simpatizzanti a soccorrerli con vestiti asciutti e cibo.
Intanto l’esperienza del Sindacato Autonomo Unito si era rivelata un fallimento.
Con gli operai il regime non era stato tollerante come con gli studenti, e quasi tutti gli aderenti al sindacato erano stati arrestati.
Oltre ai problemi di ordine interno, il governo iniziava a pensare a come fronteggiare la crisi economica. Il mese di protesta aveva azzerato il turismo, gli alberghi ed i ristoranti erano vuoti. Serviva un segnale forte e di ordine per rassicurare il ricco turismo occidentale, e le missioni diplomatiche in Europa e Stati Uniti si sarebbero svolte nei giorni a seguire.
La Cina poteva dirsi ad un passo dalla guerra civile. Solo un’azione militare poteva riportare l’ordine. Dopo un primo tentativo di sgomberare la piazza senza fare vittime, conclusosi con una vittoria della piazza fatta di militari spogliati e disarmati e mezzi militari sequestrati arrivò l’attacco. Per tanti, nel primo pacifico quanto fallimentare tentativo di sgomberare i manifestanti, i falchi del partito avevano semplicemente cercato una giustificazione per il massacro che stavano pianificando.

In Piazza Tien An Men, nella terribile notte tra il 3 ed il 4 giugno, arrivarono i carri armati con a fianco l’esercito con le mitragliatrici puntate sulla folla, ed a poco servirono i lanci di sassi e di molotov. La statua della dea democrazia venne abbattuta, attorno a lei mucchi di cadaveri. Un’immagine emblematica.. Il regime poteva annunciare di aver stroncato la “controrivoluzione”. Nei giorni iniziarono gli arresti e la sequenza di condanne a morte. Saranno centinaia le esecuzioni di persone che avevano preso parte alla manifestazione. Ancora oggi quasi 200 persone che avevano preso parte alla protesta sono in carcere.

Cosa è rimasto nemmeno vent’anni dopo, del loro sacrificio, oltre al dolore delle famiglie e di chi credeva nella loro causa? Sono rimasti pochi ricordi sbiaditi, qualche servizio al telegiornale, l’immagine di un ragazzo immobile di fronte ad un carro armato. Troppo poco per quei ragazzi. Volevano libertà e democrazia e sono stati disposti a morire pur di ottenerla. Purtroppo le cose in Cina non sono cambiate. Il Partito Comunista Cinese sentenzia ancora la pena di morte per centinaia di dissidenti del regime (o presunti tali) e si serve anche dei campi di lavoro, che non hanno nulla da invidiare ad i lager nazisti. All’interno di questi campi di lavoro i prigionieri sono condannati ai lavori forzati, e se non lavorano abbastanza bene può capitare che ne vengano presi alcuni per un’azione dimostrativa: messi in riga e fucilati. Le scene che abbiamo visto qualche tempo fa nei telegiornali erano identiche a quelle viste in tanti speciali sulla Shoah, solo che avvengono ogni giorno. Ma questo olocausto non dispone di cifre certe, e sono certo che ciò che abbiamo visto non è che la cosiddetta punta dell’iceberg di un mondo che c’è ma nessuno vuole vedere.

Gabriele Meneghetti